Di Giuseppe Aieta
Una dichiarazione di recente rilasciata ad una trasmissione televisiva dal Premier Renzi ha destato non poca meraviglia. «Ho detto rottamazione e al massimo farò due mandati. Se vengo eletto la prossima volta poi vado a casa», ha detto il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ospite di Lilli Gruber a Otto e mezzo su La7. Niente di nuovo per chi conosce il ragionamento delle origini che è alla base del successo di Matteo Renzi.
Che inizia il suo cammino proprio rivestendo l’unica carica istituzionale che ha un limite di mandato: il sindaco! Renzi nasce ed esplode da sindaco di Firenze, per le cose che ha realizzato ma anche per l’intuizione di coinvolgere i primi cittadini in un progetto di rinnovamento che partisse dai Municipi per arrivare al cuore delle decisioni e quindi al governo del Paese. Agli albori il campo era poco affollato, intimo direi, oggi non si distinguono i confini. Ma c’era da aspettarselo e va bene così!
Essere renziani – se così la vogliamo mettere – significava ” fare come Renzi” e non sposare la sua linea per qualche posticino in Parlamento o in una giunta comunale, provinciale o regionale. Significava, in sostanza e non a chiacchiere, aver tentato di dare alla propria comunità opere e strumenti utili alla crescita e alla conoscenza. All’epoca del Big Bang e delle prime Leopolde – quelle per intenderci poco frequentate – Renzi rappresentava il simbolo di quei sindaci che facevano scelte coraggiose e precise, che aprivano biblioteche, musei, teatri, che realizzavano piazze, che abbattevano edifici volgari e brutti per creare nuovi spazi, che istituivano isole pedonali, che avevano un rapporto virtuoso con la scuola e con la chiesa, che allestivano sale per far discutere i cittadini. In una parola, che esaltavano i luoghi della Bellezza facendo passare il messaggio che la bellezza non esiste senza scopo. Nell’aprile del 2012 Matteo Renzi pubblica “Stil Novo. La rivoluzione della bellezza tra Dante e Twitter” in cui, parlando della sua Firenze e del suo ruolo da sindaco, focalizza un concetto che è fondamentale per tutta la sua vicenda politica e credo personale. Il ragionamento in sintesi è questo: Firenze è bella perché è viva e investe tutto ciò che può sul talento facendo prevalere chi sa e non chi ha. In questo concetto e in questo stravolgimento della prospettiva politica c’è tutta la vicenda di oggi, il decisionismo e le scelte operate non facendosi vincere dalle contestazioni che ogni proposta innovativa porta con sé. La storia di oggi è, né più né meno, che quella di ieri quando ad un tratto i fiorentini si svegliarono e trovarono l’isola pedonale a Piazza Duomo della quale si parlava da decenni.
Fatto questo preambolo penso che Renzi abbia interrotto i canali di comunicazione con i sindaci e, per giungere alle nostre latitudini, penso ancor di più che Oliverio debba riprendere questo canale di comunicazione spento da tempo. Nei sindaci e nelle loro storie di ordinaria follia – perché fare il sindaco è diventato esercizio da folli, sempre costretti a combattere con risorse che non ci sono e con emergenze sociali che esplodono e che trovano solo nel sindaco il terminale dell’indignazione dei cittadini – sta la rinascita di questo Paese e della nostra Regione. Quando un sindaco riesce a realizzare ciò che ha promesso ai propri cittadini produce felicità, ricchezza, opportunità; capita che spesso, pur avendo le risorse finanziarie, è costretto a non poterle investire per quel maledetto Patto di Stabilità – che Renzi al tempo in cui era sindaco definiva “Patto di stupidità” – che impedisce ai Comuni di poter fare affidamento su risorse proprie per un malefico meccanismo concordato con l’Europa.
Per concludere, essere renziani non significa omologarsi ad una corrente che tra l’altro il premier disdegna; essere renziani – per chi ovviamente non è interessato solo a rivendicare posti al sole o a conservarli, magari provenendo da storie incompatibili con quella del premier – significa essere come Renzi, fare come Renzi, considerando che «Firenze non è la città di Dante e Leonardo, ma è la città presa in prestito dai nostri figli e nipoti». Cambia la prospettiva e cambia la strategia: conservare gelosamente la propria identità ma, al tempo stesso, correre per dare risposte all’ansia di rinnovamento. E, per ritornare all’intervista su La7, non sarebbe male se il premier desse indicazioni – così come accade per i sindaci – di limitare il mandato per non più di due volte anche a consiglieri regionali e parlamentari. Lo dico perché avendo avuto la fortuna di amministrare la mia città per due mandati posso affermare con certezza che gli ardori e gli impeti del primo mandato si sfiammano progressivamente negli anni lasciando il posto non più al sogno – che è condizione ineludibile per fare bene ( non che io abbia fatto bene, intendiamoci!) – ma alla tentazione di omologarsi e di adattarsi all’esistente. Cambiare aria, ritrovare nuovi stimoli, coltivare nuove ambizioni, lasciare il segno è l’imperativo di chi fa politica. Al contrario significherebbe auto conservarsi e fare un danno ai cittadini. E l’intervista di Renzi, in due parole, esprime bene il concetto.